QUELLA PIZZA AI BAFFI PORCINI ANDATA DI TRAVERSO

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Che dietro all’organizzazione di “Bianca… Pizzeggiando”, la manifestazione dei pizzaioli svoltasi nel 2004 a piazza Roma, ci fosse qualcosa di anomalo, lo avevano capito subito anche le basole in pietra lavica. “Stranezze”, se non altro, di carattere strettamente politico, oltre a quello linguistico – si intende – con quel pessimo utilizzo del gerundio, geniale anti-esempio di tecnica pubblicitaria. Ora, però, stando alla sentenza di primo grado emessa, a conclusione del rito abbreviato, dal gup Luigi Barone, sono stati accertati anche reati penali. Per abuso in atti d’ufficio è stato condannato a sei mesi di carcere (pena sospesa) l’ex assessore Alfio Amato, che istruì la delibera di giunta per l’assegnazione dell’organizzazione all’associazione “Metropolis” di Biancavilla e per la contemporanea erogazione di 34.500 euro (non proprio briciole). Secondo il giudice, la responsabilità di Amato è duplice. Da una parte, la sua partecipazione alla votazione della delibera, quando non avrebbe dovuto perché il presidente dell’associazione era (sorpresa?) un suo cugino, seppur acquisito e di quarto grado. Dall’altra, l’avere stanziato una somma a copertura totale dei costi della kermesse, quando il regolamento comunale prevede solo un contributo del 50%, determinando dunque un ingiusto vantaggio patrimoniale all’associazione presieduta dal parente. Questioni “tecniche” che sono valse una sentenza di condanna, contro la quale comunque il legale dell’ex assessore proporrà appello.

A noi, come è noto, ci interessano altre questioni. Quelle politiche ed etico-politiche. Aspetti, cioè, sui quali la giunta Cantarella e la maggioranza che la sostiene hanno collezionato in questi anni una serie infinita di scivoloni, tali da avere sbriciolato la pur minima autorevolezza morale nella gestione della cosa pubblica e nella condotta politica.

Cominciamo col precisare che Amato non è un pericoloso criminale. In Italia (e in Sicilia) ci sono “signori” della politica che per fatti ben più gravi sono a spasso e siedono tranquillamente su comode poltrone. Ci auguriamo che la sentenza d’appello possa ribaltare quella di primo grado. Ma anche in questo caso, come in quello dei “furbetti del gettone”, è valida una condanna politica (che prescinde degli esiti giudiziari) sui comportamenti tenuti da ben precisi personaggi.

Chi ha la curiosità di visionare le carte che riguardano “Bianca… Pizzeggiando”, noterà una serie di nomi di persone, coinvolte a vario titolo nell’organizzazione, che sembra richiamare le liste elettorali collegate al candidato sindaco Antonio Portale o comunque i supporter per la sua campagna elettorale 2003. Per carità, nessuna sorpresa. Era fin troppo chiaro fin dall’inizio a tutti. L’unico a non avere capito in tempo è stato Mario Cantarella. Forse per i troppi impegni, forse perché insaziabile degustatore di pizze, forse perché troppo euforico all’idea (poi non concretizzatasi) di un collegamento da Biancavilla con “La Vita in diretta” di Michele Cucuzza, il nostro sindaco acconsentì a quella proposta di Amato (cioè di Portale) senza tanto interrogarsi. Eppure di interrogativi preventivi da porgere ce ne sarebbero stati a decine. Se il sindaco avesse fatto qualche domanda, avrebbe saputo per esempio non soltanto che l’associazione era presieduta da un parente dell’assessore, ma che la stessa era stata costituita ad hoc pochi giorni prima senza vantare quindi alcuna esperienza organizzativa precedente. Avrebbe capito per esempio che il regista politico dell’iniziativa non poteva non essere che quel Portale, abile conoscitore di organizzazione di eventi e spettacoli. Avrebbe dedotto per esempio che la manifestazione sarebbe stata monopolizzata dalla presenza (così com’è effettivamente avvenuto) di ex candidati, sostenitori e simpatizzanti dell’allora forza dei “Movimenti Democratici”, tutte figure rimodellatesi per l’occasione in aiutanti, factotum, presentatori, vigilantes per “Bianca… Pizzeggiando”. Le prediche di Portale, quand’era oppositore, su amici e parenti coinvolti o scelti in iniziative amministrative, per quella volta hanno avuto una deroga.

Ma erano tutti elementi (per quanto rivelatisi ininfluenti sul piano giudiziario) più che sufficienti se non altro per dubitare sull’opportunità politica di dare l’ok alla proposta di iniziativa. Invece il sindaco si è tappato il naso e ha tirato dritto. Fino alla riunione di giunta nella quale si è consumato il reato di abuso d’ufficio, per una ingenuità di Amato che di certo non poteva essere tenuta in considerazione dal giudice. Né dai Democratici di sinistra, i quali, ricordandosi del loro ruolo di oppositori, non poterono fare altro che presentare un esposto alla Procura della Repubblica innescando quell’iter giudiziario conclusosi ora con la recente sentenza di condanna. Sulla quale – è bene far notare – dal Palazzo è arrivato un fragoroso silenzio. Ma come? Dalla «residenza municipale» ti comunicano ogni pensiero sul mondo di Sua Maestà il Sindaco con la stessa cura che gli urologi hanno di annotare la frequenza degli svuotamenti di vescica, e ora che ci sarebbe da organizzare una mega-conferenza stampa, non accade nulla? «Le sentenze non si commentano». Infatti, ma vogliamo commentare i fatti politici che ci stanno dietro? E’ possibile che i massimi rappresentanti istituzionali non prendano nessuna posizione o non esprimano semplicemente la loro opinione? I fatti per cui Amato (ex delfino di Portale) è stato condannato non si sono verificati a casa sua, ma all’interno della giunta, di fronte al sindaco Cantarella, a fianco agli altri assessori. E come non tenere conto che una condanna penale di questa portata ad un amministratore di Biancavilla non capitava da quei drammatici eventi giudiziari di inizio anni ’90 ? La giunta Cantarella e il Centrodestra se ne possono “vantare”. E invece, sindaco e presidente stanno zitti, come se un fatto del genere sia normale. Neanche l’eleganza di esprimere solidarietà ad Amato o di augurargli di ottenere una sentenza assolutoria in Appello. Nulla, neanche questo. Forse perché non ci sono nastri da tagliare, telecamere per le quali posare, palcoscenici su cui esibirsi? Ma è inutile porsi altri interrogativi. Meglio farsi una pizza. Che ne pensate di una funghi porcini? Ovviamente con mozzarella di bufala. …Chissà perché: scrivi bufala e ti viene in mente “Festival Drink”. Ma quello, lo riserviamo per una prossima portata. Pardon, puntata.

Vittorio Fiorenza 

LA BENEMERITA E I «FURBETTI DEL GETTONE»

E’ da mesi che i politicanti nostrani non ci regalano spunti significativi su cui aggrappare le nostre riflessioni. A ravvivare le giornate di questo giugno dalle attese/pretese di Bilancio, ci ha pensato, però, la Benemerita. Si, lo sapete già. Gli uomini del capitano Giuseppe Carubia hanno fatto gli scalini del palazzo comunale, sono saliti al secondo piano, fino all’Ufficio di Presidenza, acquisendo i registri originali delle quattro commissioni consiliari. Quella storiaccia dei “furbetti del gettone” è al vaglio dei militari per capire se ci sono stati abusi, irregolarità, reati, danni contabili. Sotto esame, i verbali dei quattro organismi dal 2003 ad oggi, atti di convocazione, mandati di pagamento per i consiglieri. Non sappiamo cosa le indagini faranno emergere. Può essere una bolla di sapone. E francamente non facciamo riferimento alla cultura del tentennio di manette. Gli aspetti giudiziari, almeno in questa fase, ci affascinano poco.
Ribadiamo, invece, il nostro martellante interesse sull’aspetto etico-politico. Su questo fronte, riteniamo di non dovere attendere avvisi di garanzia, interrogatori, processi o sentenze. Il giudizio lo si è gia dato. Ed è valido oggi ancora più di ieri. E’ un giudizio di condanna. Senza possibilità di appello. Una condanna politica trasversale (ma ampiamente motivata, dunque non qualunquista) per un uso distorto delle commissioni, un abuso nelle convocazioni, per un’ingordigia di gettoni di presenza, per un’abbuffata di permessi (retribuiti) dal lavoro. Nel periodo 2003-2006 le spese per i gettoni si sono triplicate fino a raggiungere quota 250mila euro. Basta questo dato per rendersi conto che qualche anomalia c’è.
Dopo l’azione dei carabinieri, i consiglieri (soprattutto coloro che hanno detenuto il ruolo di presidente dei quattro organismi) hanno fatto uno sforzo per far finta di nulla. Ma, diciamolo pure, sembrano confusi, perplessi, impensieriti. Non perdono, però, il vizietto idiota, tipico dei non-politici, di puntare il dito contro i cronisti, quei cronisti (a cominciare da noi) che a più riprese hanno reso quanto più trasparente possibile ciò che succedeva tra le quattro mura delle stanze al secondo piano del Palazzo. La nostra colpa? Non una frase, un termine o un’osservazione. Ma l’avere scritto e riscritto. L’avere denunciato pubblicamente. L’avere pubblicato, come accade in tutti i paesi normali, l’ammontare dei gettoni ricevuti dai nostri consiglieri. Chi scrive non ha creato un’immagine pessima dei politici. Quella se la sono scattata da soli. Noi ci siamo limitati a riportarla, com’era nostro diritto-dovere. Un modo di fare che è ovvio, scontato, naturale, da manuale base di tecnica giornalistica. Ma non per i politicanti della Repubblica di Biancavilla, non abituati al fiato dell’opinione pubblica, che ignorano un semplice dato: il palazzo comunale non è un’abitazione privata. Tutto ciò che accade al suo interno, va riferito fuori. Ogni amministratore, per qualsiasi cosa faccia, dalla fotocopia all’utilizzo della carta igienica, deve dare conto ad ognuno dei 22mila abitanti di questa ridente cittadina etnea: è elementare. E invece, ci ritroviamo tizi che non hanno rispettato le istituzioni, semplicemente perché non ne conoscono il valore. Tizi che hanno confuso la loro sacrosanta sovranità a discutere e riunirsi con i limiti imposti dalla decenza e dalla civiltà politica. Pretendere che ammettano pubblicamente qualche loro leggerezza, è troppo. Ma, almeno, tacciano e lo ammettano a se stessi, magari al chiuso della loro toilette.
Delle responsabilità della Sinistra e dell’intera minoranza sulla gestione spensierata delle commissioni, ne abbiamo parlato. Le loro disattenzioni, le loro complicità politiche, il loro silenzio, l’assenza di battaglie pubbliche, la mancata pretesa di una condotta politica moralmente ineccepibile sono atti di accusa che rinnoviamo con vigore. Incorniciate queste considerazioni, va aggiunto, sottolineato, evidenziato, segnalato con tanto di lampeggiante e sirena che lo sbranamento delle commissioni si consuma in un’assemblea cittadina targata “Casa delle Libertà”. I colori politici predominanti sul velo sudicio delle responsabilità sono quelli del Centrodestra. Gli annali politici non potranno non registrare che il blitz dei carabinieri sia avvenuto sotto la presidenza di Antonio Portale e nell’era del sindaco Mario Cantarella. Due politici che, a parole, hanno sbraitato sull’intransigenza delle regole istituzionali (il primo) e sull’applicazione di un rigore etico alla politica (il secondo). I fatti li smentiscono.
Il primo cittadino si è premurato a dichiarare che «siamo sereni, assolutamente tranquilli, abbiamo fiducia nelle forze dell’ordine». Ma dove sta la notizia? Si è mai visto un sindaco esprimere la non fiducia alle forze dell’ordine? Meglio evitarli i comunicati che non comunicano nulla. Il presidente coi baffi ha tenuto a precisare al Giornale di Sicilia che sulla questione delle commissioni, lui ha fatto 40 interventi di richiamo. Il che equivale a dire che almeno per 39 volte è rimasto inascoltato, dunque le sue lettere si sono rivelate inefficaci. Perché in questi anni, allora, non si è rivolto a chi di competenza? Anzi, visto che ci siamo, diciamola tutta. C’è una grande curiosità nel Palazzo, una sorta di toto-tacchino di “stecchiniana” memoria per capire chi sia stato a far scoccare la scintilla dell’operazione dei carabinieri. Ma la vera assurdità in questa pessima vicenda di inizio estate sarebbe la scoperta che l’autore del presunto esposto arrivato alla magistratura catanese non sia né Cantarella né Portale, coloro i quali cioè hanno visto, hanno saputo e, data la «visita non di cortesia» dei militari al municipio, non sono stati in grado di onorare il loro dovere istituzionale di arginare in tempo il balletto delle commissioni. Una condanna politica che prescinde dall’esito delle indagini. A meno che si dovesse scoprire che l’input all’azione dei carabinieri sia partito da una comunicazione, per quanto sofferta, dei vertici comunali. In tal caso, saremmo ben lieti di rimangiarci ogni critica.
Vittorio Fiorenza
di Antonello Piraneo