BOCCIOLI DI MARGHERITA SOTTO LA QUERCIA

Di sicuro ci siamo persi qualche puntata e per questo non comprendiamo. Nel tormentato sceneggiato sui rapporti tra la Margherita e le altre forze del Centrosinistra abbiamo assistito recentemente ad una prima visione assoluta. La partecipazione del partito dai petali bianchi alla presa di posizione della minoranza contro il Prg e la presenza di Alfio Magra nella sede dei Ds per la conferenza stampa sulle ragioni della protesta, impongono una serie di riflessioni.
Ricordiamo, innanzitutto, che l’ultimo contatto politico tra la Margherita e gli altri soggetti del Centrosinistra risale alla serata di insediamento del Consiglio Comunale, quando Nino Benina, a nome dei diessini, dichiarò a chiare lettere di «non volere avere più nulla a che fare con la Margherita». Parole dure, emotive, piene di rancore, dettate dalla convinzione diffusa, ieri come oggi, nel popolo della Sinistra, secondo cui la sconfitta elettorale di Pippo Glorioso e della coalizione è da addebitare al partito di Carmelo Randazzo, che ha preferito non dare il proprio sostegno e, ancor peggio, avrebbe dato una mano a Mario Cantarella.
Da quel momento, in aula, Magra ha percorso una strada diversa da quella degli altri gruppi di opposizione, Ds e Riformisti. Il rappresentante ex popolare ha anzi assunto spesso posizioni parallele a quelle della maggioranza di governo. Nella scelta del difensore civico, nell’approvazione di contestati regolamenti, in qualche bilancio e conto consuntivo c’è il marchio del voto favorevole o di astensione del partito di via Garibaldi. A questo va anche aggiunto che Magra si è sempre rifiutato di firmare interrogazioni, esposti e denunce assieme ai colleghi di minoranza, riservando sconti e flirt all’amministrazione comunale, tanto che per alcune settimane era circolata la voce (non si sa fino a che punto stravagante e fantasiosa) di un assessorato della giunta Cantarella da dare a Carmelo Randazzo.
Non è un mistero, d’altra parte, il filo politico che collega i Randazzo-Magra a Ferdinando Latteri, fin dai tempi in cui il rettore soggiornava nella corte azzurra di Forza Italia. Era stato il capogruppo di Alleanza Nazionale, Vincenzo Randazzo, già nel luglio del 2001 (ben due anni prima delle Amministrative), a denunciare in Consiglio il doppio gioco dei vertici cittadini della Margherita, che stavano in giunta con Manna, ma avevano un rapporto privilegiato con l’esponente berlusconiano. Un’accusa confermata, più di recente, dall’appoggio dato dagli ex del Ppi al rettore (nel frattempo convertitosi a Bianco e a Rutelli) per le elezioni europee.
Ma torniamo al 2005. Ora, tutto ad un tratto, il broncio post-eletttorale o, per meglio dire, le profonde ferite della “guerra fredda” tra Margherita e Centrosinistra (in testa i Ds), sembrano essere superati. Così, come se nulla fosse successo, ecco Alfio Magra sedere tranquillamente nella sede della Quercia, tra i vecchi compagni, sotto il ritratto e lo sguardo di Berlinguer, e addirittura varcare la soglia della Cgil (il lider maximo Alfio Petralia ha evidentemente metabolizzato il suo “niet” a qualsiasi ricucitura con la Margherita pronunciato dopo il ballottaggio). L’occasione, certo, è importante: «le scelte dell’amministrazione in materia di urbanistica, che anziché prevenirlo dà respiro all’abusivismo edilizio».
Eppure gli scienziati politici della segreteria e del direttivo dei Ds insegnano che per giungere ad un risultato (in questo caso l’unità del Centrosinistra) è necessario che si consumino dei passaggi intermedi. Ma sono proprio quelli che i biancavillesi non hanno visto. A quasi due anni dal trauma elettorale dello schieramento che si rifaceva all’esperienza Manna, non si è mai aperto un dibattito per sondare le ragioni della sconfitta e non abbiamo sentito pronunciare autocritiche. Né dai Ds, né da Rifondazione comunista o dai Riformisti. Tanto meno dalla Margherita, che non ha nemmeno reso noto il motivo del disimpegno nei confronti di Pippo Glorioso, motivo indecifrabile ancor più se si considera che fino al giorno prima del ballottaggio e per lunghi anni è stato il partito che ha spadroneggiato all’interno dell’amministrazione, scalzando e sgomitando gli alleati. Tra questi, più di tutti, i Riformisti.
Nella conferenza stampa sul Prg, l’unico simbolo di opposizione assente era, non a caso, quello di Nicola Tomasello, entrato nell’arena politica nel ’98, da cislino, attraverso il Ppi, da cui è fuoriuscito appena sei mesi dopo, in aperta polemica con il «partito formato famiglia» gestito dai cugini Randazzo-Magra. Contrasti politico-personali che si sono susseguiti durante la passata consiliatura e che si sono consumati fino a poche settimane fa con il tentativo (non riuscito) di Gino Randazzo, che ha fatto ricorso al Tar e al Cga per soffiare il seggio a Tomasello, facendo leva su vizi formali, poi sentenziati come infondati.
Sono queste, pare, le ragioni per le quali il capogruppo riformista non ha aderito all’azione di protesta (timida) sul Prg. Anche perché Tomasello, pur essendo un perfetto centrista di vecchio impasto democristiano, che non smentisce il suo legame con l’Udc di Fabio Mancuso, sembra volere sottolineare il fatto di essere stato il promotore in prima persona e l’unico sottoscrittore di atti di opposizione assieme ai Ds. I quali, invece, tentano a sorpresa, non consultando gli altri soggetti della minoranza, la pacificazione con la Margherita, senza che questa sia stata sottoposta ad un giorno di “purgatorio” per espiare la colpa di avere spianato il governo a Mario Cantarella, ai danni di Glorioso e del Centrosinistra.
C’è il tentativo da parte di un nucleo dei Ds, in effetti, di recuperare il pezzo smarrito della Margherita. Ma è un tentativo, forse, che nasconde essenzialmente un desiderio personalistico di Pietro Manna (che non ha affatto abbandonato la politica attiva) di recuperare il vecchio amico Carmelo Randazzo e magari riproporre quell’asse all’appuntamento del 2008. Si tratta di un’accoppiata, però, che è bene considerare superata, stantia, coccio da consegnare all’archeologia politica. La minoranza, pur avendo il dovere di valorizzare la figura e l’esperienza dell’ex primo cittadino, ha più che mai bisogno di rinnovamento e di sperimentare formule innovative, consegnando alla storia quel duetto che ha irritato perfino buona parte dei diessini ed è stata una delle scintille dello spappolamento del Centrosinistra alle scorse elezioni.
Ricompattare la coalizione è un fine da perseguire, ma pensare di ricomporre vecchi puzzle è suicidio politico. Se queste sono le premesse per costruire un’alternativa all’attuale governo, i dirigenti del Centrosinistra non sembrano sulla strada giusta. Se poi continuano così come hanno fatto finora con la “strategia del silenzio” e dell’immobilismo, allora sì che Mario Cantarella può dormire sonni tranquilli.
Vittorio Fiorenza

ANCH’IO… DISTURBO (LE VIGILESSE)

Siamo d’accordo. I giovani dell’Udc hanno sbagliato, non ci sono giustificazioni. Sono stati superficiali a pubblicare nell’ultimo numero di “Anch’io c’entro”, il loro foglio di informazione, un commento di un lettore (firmato Tigre15, praticamente anonimo) che chiama in causa, in maniera diffamatoria, vigili urbani e “vigilesse” di Biancavilla, accusati di sbrigarsi faccende personali durante l’orario di servizio (chi va dal panettiere, chi dall’estetista). Non c’è dubbio: una gaffe. Che riesce, però, a diventare occasione per scoprire ancora una volta i nervi sensibili dell’istituzione comunale nei confronti di una voce stonata. Di fronte ad una simile leggerezza, dettata dalla buona fede e dal dilettantismo giornalistico di un gruppo di ragazzi che si è avventurato in un’apprezzabile esperienza editoriale in un contesto di desertificazione dell’opinione pubblica, le giuste reazioni della polizia municipale sarebbero un richiamo verbale e la richiesta di una smentita da pubblicare nella prossima edizione.
E invece? Invece è successo che il Comune si è schierato in trincea come se si fosse consumato un reato di “lesa maestà”.
Le “vigilesse” hanno promesso querele, sono andati a cercare fino in casa Salvatore Panebianco, coordinatore di redazione del foglio di informazione (manco fosse un criminale) e hanno addirittura sequestrato le copie del giornale dai punti di distribuzione, non si sa sulla base di quale provvedimento ufficiale (fatto di inaudita gravità per la libertà di stampa, nemmeno fossimo a Baghdad). Il caso è stato discusso anche nella stanza del sindaco con un viavai di assessori, vigili urbani e l’immancabile Salvuccio Furnari, indaffarato a mettere in campo le sue doti diplomatiche e persuasive per riparare la marachella compiuta dai nipotini indisciplinati dello Scudocrociato. Una mattinata di mobilitazione fuori e dentro il Palazzo, insomma, con un evidente nervosismo delle “vigilesse”, che non hanno digerito affatto l’infamante accusa di distrarsi dal lavoro per andare a fare una ceretta dall’estetista.
L’incazzatura a caldo ci sta, per carità. La polizia municipale, al di là delle battute, ha ragione da vendere. Ma le reazioni sono state sproporzionate: “Anch’io c’entro” non è il “Corriere della Sera”.
E il sindaco, come l’ha presa? «Non ho capito se questo giornale è con me o contro di me», si è chiesto, confermando la sua difficoltà a vedere mezzetinte e sfumature. In effetti, oltre al breve intervento sui vigili urbani, “Anch’io c’entro” ospita in questo numero altri commenti di lettori, molto critici sull’operato dell’amministrazione comunale.
La cosa, al primo piano del Palazzo, non è per niente gradita. E allora? Basta eliminare le voci stonate. E se non ci si può fare niente a bloccare qualche blog irriverente, tentiamo di farlo allora con la rubrica irriverente del giornalino dei giovani dell’Udc, che -scusate- non possono permettersi, anche loro, di creare… disturbo. Al prossimo numero. Si spera.
Vittorio Fiorenza