QUALCUNO ERA COMUNISTA (E L’ALTRO FASCISTA)

Più che un rilancio, un papocchio in salsa biancavillese. Scusate, ma che altra definizione trovare? Siamo seri. Dimenticate per un momento le vostre convinzioni politiche e le simpatie personali, riflettete un minuto. Ci era stato detto che l’azzeramento sarebbe servito a chiudere polemiche e diatribe e a resettare gli equilibri tra gli alleati. Ci era stato promesso che l’operazione sarebbe servita a motivare la coalizione. Ci era stato assicurato che sarebbe stata ricostituita una giunta di rigore e di alto profilo, proiettata alle prossime Amministrative. E invece?
Invece, tutto si è risolto in un banalissimo gioco di poltrone e rimescolamento di nomi, utile a far saltare qualche ingombro, che poco o niente ha a che fare con una visione in prospettiva, tanto meno con il programma amministrativo. Potevano dirlo prima. Soprattutto Forza Italia, che da mesi chiedeva il terzo assessore o la vicesindacatura o la presidenza del Consiglio o la vicepresidenza o deleghe più corpose o il direttore artistico o incarichi professionali. Un grande botto per una fioca scintilla. Tempo perso. Spettacolo circense. Squallido teatrino di provincia. Peggio dei peggiori “film” proiettati dal Centrosinistra.
E poi… Già, come non parlarne? Il Fatto. Il Grande Fatto. Il ripescaggio di Alfio Petralia. Il compagno Petralia. In una Biancavilla lontana anni luce dalla partecipazione democratica, in una Biancavilla indifferente e apatica, può capitare (ed è capitato) che un’operazione come la nomina di un ex comunista ad assessore di un sindaco post-fascista (nomina che ha tutti gli elementi per essere definita “storica”) passi sotto un sorprendente silenzio. Un assordante silenzio, che la dice lunga sul grado di interesse dei biancavillesi alla vita pubblica. Nessun esponente della “classe dirigente”, nessun intellettuale o libero pensatore ha aperto bocca. In tv, il primo cittadino, non a caso, ha avuto modo di commentare che la gente non ne vuole sapere di tutti questi discorsi politici: la verifica, il rimpasto, le polemiche, i botta-e-risposta. E lo ha detto con tono consolatorio. Una consolazione per una realtà di mutismo menefreghista che, invece, dovrebbe essere motivo di preoccupazione per tutti. Una comunità che non giudica e non si occupa dei comportamenti dei propri rappresentanti politici non dimostra un grande senso democratico! E, come volevasi dimostrare, ecco il silenzio sulla nomina di Petralia, già sindaco comunista, già consigliere e assessore comunista, già segretario del Pds, già segretario dei Ds, già avversario storico di Mario Cantarella. Già, già, già.
Sia ben inteso, il prof. Petralia merita tutto il rispetto personale e politico di questo mondo, se non altro perché, a differenza della quasi totalità dei suoi colleghi, ha una storia politica, un percorso politico, un’esperienza politica, qualità non rintracciabili nei politici allo sbaraglio di nuova generazione. Ma la polemica sulla sua storia personale che fa scintille con quella del sindaco ci deve essere consentita. Per capire come uno rosso che più rosso non si può si trovi a fianco ad un sindaco tradizional-clerical- processionaro che più tradizional-clerical- processionaro non si può.
I due proff sanno che un’operazione del genere, in tempi non lontani, avrebbe provocato ben altre reazioni: calci in culo a Petralia dai compagni, legnate a Cantarella dai camerati. E’ ovvio che non siamo nostalgici di quei tempi e non auspichiamo punizioni corporali ai due estremi che si sono ora incontrati («…dove Nietzsche e Marx si davano la mano», cantava Venditti). Ma un minimo di spiegazione, la diano. Magari evitando di appellarsi a quelle stronzate che in casi analoghi si balbettano: non ci sono più gli steccati ideologici, il Muro di Berlino è stato abbattuto, la Guerra Fredda è finita, Destra e Sinistra sono concetti superati, l’11 Settembre, Bin Laden, Saddam e così sia. La solita litania che quei poveri illusi e idealisti della politica che ancora ascoltano vinili graffiati di Guccini e Pietrangeli e cassette semi-smagnetizzate di Lolli e degli Inti Illimani, si devono sorbire ogni volta che pretendono un minimo di senso etico.
E’ naturale che nel corso della vita si possano cambiare posizioni e convinzioni, anche così radicalmente. Lo sappiamo, non siamo così squadrati. Ma questo comporta un tormentato e lentissimo processo di rivalutazione interiore, simile a quella di un cristiano che si converte al buddismo. A differenza del rivolgimento del credo religioso, che è una scelta intima, la messa in discussione delle convinzioni politiche e ideologiche, per chi fa attività istituzionale, impone però un outing graduale, non dall’oggi al domani. L’ultima, significativa uscita pubblica del prof. Petralia risale alla sua candidatura come capolista (non eletto) dei Ds nel 1998. Lo abbiamo “lasciato” a Sinistra. Certo, poi, alle ultime elezioni comunali ha fatto altre scelte e ha anche candidamente fatto da supporter a Mario Cantarella. Ma da qui, ad un impegno istituzionale a fianco del suo ex avversario, il passo è grande. Come si può? Condivisione di progetti o un semplice modo di fare una pernacchia alla Sinistra, tanto detestata? Motivazioni fragili, comunque la si voglia vedere. Che non valgono il rinnegamento di battaglie, idee, rapporti ed esperienze passate. Che non valgono una così plateale azione di trsformismo.
No, non si tratta di «uno come altri». Petralia non può essere paragonato a Rosetta Bonanno (passata dai Ds all’Udc) o a Salvatore Scirocco (da Rifondazione comunista all’Udc). Non c’è misura. E nemmeno si possono citare i casi di Andrea Ingiulla (da compagno socialista alla corte della Cdl), Salvatore Mazzone (dai Verdi a Forza Italia), Enzo Meccia (nato nel Pci, oggi in Nuova Sicilia) o, esemplare classico di “politico saltellante”, di Antonio Portale (non elenchiamo i suoi passaggi, si imballerebbe il computer). Persino il paragone con Carmelo Nicolosi (da nemico di Manna a suo assessore) non regge. Il caso di Petralia, per il suo percorso, il suo spessore, la sua statura politica, ha caratteristiche uniche. Per questo, i biancavillesi pensanti dovrebbero riflettere. Un paese che perde la sua capacità ad indignarsi, non ha futuro.
La politica o è scontro di idee (senza molotov e manganelli, certo) o non è. O è differenza di posizioni o non è. O è linearità di percorsi o non è. Diamo conferma, altrimenti, al qualunquistico “tutti gli stessi sono”.
E’ ancora più triste che l’operazione “amici per la pelle” Petralia-Cantarella (che effetto vederli uno a fianco all’altro, in aula) sia stata attuata non da due centristi alla Portale con la concezione della politica “un po’ di qua e un po’ di là”, ma da due “puri e netti”, oltre che da due insegnanti, che in classe dovrebbero educare ad una politica trasparente, sana, senza confusioni, senza inciuci (che «cattivi maestri»). E dovrebbero educare soprattutto alla coerenza. La coerenza… qualità ormai bandita in politica! Ci vorrebbe una petizione da rivolgere a Zingarelli e ai De Voto-Oli affinché si muti il significato della voce “coerenza” nei loro vocabolari e la si aggiorni secondo i nuovi comportamenti.
A questo punto, il prossimo candidato a sindaco della Sinistra perché non si impegna a designare quale suo assessore Vincenzo Randazzo? L’esponente di An saprebbe dare il suo buon contributo, visto che non gli è stato concesso da questo sindaco.
Ma come prescindere dal diverso riferimento a valori, ideali, principi? Anche in una piccola realtà come Biancavilla? Altrimenti diciamolo chiaro: aboliamo gli schieramenti tradizionali e i simboli dei partiti (in quello del sindaco resiste ancora la Fiamma Tricolore e la sigla Msi, elementi che per tanti militanti e simpatizzanti di Destra costituiscono ancor’oggi un valore), così da potere scegliere tra due, tre o quattro opzioni di aggregazioni di movimenti civici in base a progetti a scadenza quinquennale.
Sarebbe la morte della Politica basata sul confronto-scontro di diverse concezioni della società. Sempre meglio, però, che calpestarla ipocritamente con intrecci innaturali pur di arrivare ad un posticino di assessore all’Urbanistica in un provincialissimo comune etneo.
«Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio… Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro». Parole di Giorgio Gaber. Da incorniciare nella stanza del neoassessore.
Vittorio Fiorenza