SE I MAFIOSI LA FANNO FRANCA

Lascia il tuo commentoNessuno ne parla, ma la questione è tutt’altro che chiusa. E il conto tra il Comune di Biancavilla ed alcuni esponenti del clan mafioso Gurgone-Mazzaglia-Tomasello rimane in sospeso. Ammonta ad oltre 20mila euro il risarcimento che una banda di diciassette estortori locali deve ancora effettuare nei confronti dell’istituzione comunale, che per volontà del sindaco Pietro Manna si era costituita parte civile nel relativo processo penale, chiusosi con condanne dai 6 agli 11 anni di reclusione e con l’obbligo di pagamento di quaranta milioni delle vecchie lire al municipio per danni morali e d’immagine.
Di quella somma, nonostante la sentenza sia stata emessa, in primo grado, dal tribunale di Catania nel 2000, non c’è nessuna traccia nelle casse comunali. Qualche anno fa, si era tentato di recuperarla con un’azione legale, che lo stesso Manna aveva affidato all’avv. Giuseppe Furnari.
I contorni di tale azione non sono noti, ma è certo che nessun elemento del gruppo malavitoso abbia sganciato un centesimo. “Si tratta di persone indigenti”, si è clamorosamente sostenuto in questi anni dall’ufficio comunale “Solidarietà sociale”, ciò significa che “anche volendo, nessuno di loro potrebbe pagare la somma”.
Un’insopportabile beffa. Soprattutto se si tiene conto del fatto paradossale che, in virtù dello “stato economico svantaggiato”, le famiglie dei condannati avrebbero percepito e continuerebbero a percepire dal Comune aiuto e sostegno finanziario!!!
Ma i mafiosi non possono farla franca. Non certamente per spirito persecutorio nei loro confronti, ma perché bisogna avere il coraggio e la coerenza di andare fino in fondo.
I “signori” della cosca rappresentavano il terrore, fino ad alcuni anni addietro, per i commercianti biancavillesi, che vivevano nell’angoscia e che erano costretti a piegarsi per evitare minacce ed attentati nei loro negozi.
Erano stati i carabinieri della compagnia di Paternò, nel febbraio del ’97, a falciare il gruppo criminale, nell’ambito dell’operazione “Vulcano”, aperta nel ’92 e proseguita a più riprese fino al 2000. Alla “retata” del ‘97 seguì il processo, nel quale l’allora giunta Manna (di Centrosinistra), per la prima volta in assoluto, si costituì “parte civile” per dare un segnale di forte richiamo alla legalità, per fiancheggiare le vittime e per recuperare, seppur in maniera simbolica, il danno morale e di immagine subito. Seguirono diverse condanne, che riconoscevano la responsabilità di diciassette estortori del clan biancavillese per attentati compiuti tra il ‘92 ed il ’96.
Giustizia fatta? Certamente. Ma in maniera non del tutto completa. Manca ancora da saldare il conto con il Comune. Un dettaglio trascurabile, insignificante? Niente affatto.
Dietro questa battaglia simbolica c’è il riscatto (se volete, altrettanto simbolico) di un’intera comunità e di tanti esercenti che hanno subito intimidazioni ed attentati, sono stati svegliati nel cuore della notte con telefonate di minacce, hanno trovato pallottole all’ingresso del proprio esercizio, hanno visto in fiamme locali e mezzi per le loro attività commerciali. Fino al gravissimo fatto criminale dell’estate del 2000, in cui rimase seriamente ferita la titolare del “Cafè Scandura”, locale del centro storico “colpevole” per avere collaborato con le forze dell’ordine ed avere alzato la testa, dicendo “no” al pizzo.
E’ per questo che la procedura del risarcimento al Comune di Biancavilla, in qualche modo, bisogna essere risolta e dall’amministrazione si dica chiaramente come si intende agire. E’ anche una questione di dignità istituzionale, non va sottovalutata.
Peccato, però, che lo stesso ex primo cittadino, Pietro Manna, non abbia seguito la vicenda con la dovuta attenzione, fino in fondo, cosa che non ha permesso il recupero della somma. Ingiustificabile.
Ma allo stesso tempo non si può giustificare il silenzio che, sulla questione, l’attuale giunta (di Centrodestra) del sindaco Mario Cantarella ha attuato. Nessuna azione per sbrogliare il contenzioso, nessuna presa di posizione ufficiale, nemmeno di circostanza. Un immobilismo, insomma, incomprensibile. Soprattutto per chi crede nelle battaglie di principio, nella lotta all’illegalità, nel contrasto alla sopraffazione mafiosa sulla gente che lavora con sacrificio ed onestà.
Noi ancora ci crediamo. Attendiamo fiduciosi.
Vittorio Fiorenza

DIN-DON, COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

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MA QUI NON SIAMO A PIAZZA ARMERINA

Sentite questa. L’amministrazione comunale ha presentato formale istanza alla Regione Siciliana perché si inserisca Biancavilla, attraverso un apposito decreto, «tra i comuni ad economia prevalentemente turistica» e la si dichiari «Città d’arte». Non ridete, non sorprendetevi. Non è una notizia scaricata da “sitoesaurito”. Ma è stata appresa da una delibera di Giunta (la n. 125 del 10 agosto 2004), proposta dall’assessore Pasquale Lavenia e da tutti visionabile all’ufficio di Segreteria, al primo piano del Municipio.
Non sappiamo, precisamente, quali vantaggi e agevolazioni un’eventuale dichiarazione porterebbe al nostro paese. Di sicuro sarebbero legati all’ambito commerciale. Ma non è questo il punto.
Pensiamo al burocrate di Palazzo d’Orleans che dovrà esaminare la richiesta della giunta biancavillese. Innanzitutto prenderà una cartina per capire dov’è ubicata Biancavilla. Poi forse cercherà su Internet qualche informazione. E qui troverà la solita storiella dei profughi albanesi, capitanati da Cesare Masi, fondatori del paese; spiegazioni sulle qualità dei nostri prodotti, dalle arance all’olio d’oliva, dai fichidindia alle mandorle; alcune foto sulla basilica, su piazza Roma e sulla chiesa del Rosario. Il burocrate si farà un’idea, non a torto, di un normalissimo paesone siciliano, peggiore e migliore di tanti altri. Ma nulla più. Non un castello normanno, non una villa romana, non un capolavoro del Barocco, non una traccia, insomma, che possa minimamente legarci alla definizione di centro ad attrattiva turistica, soprattutto se si considera -sottolineiamo un’ovvietà- che abbiamo ancora, nonostante la crisi perenne, una forte identità agricola.
Eppure, a parere dell’amministrazione Cantarella, “Biancavilla a ragione rientra tra quelle cittadine che annoverano il turismo fra le sue attività economiche più importanti”. E per dare sostegno all’istanza si evidenzia: “Il suo patrimonio storico e artistico-culturale è consistente e anche quello naturalistico non è da meno; da non trascurare ancora il calendario delle manifestazioni che l’Amministrazione appronta nel corso dell’anno che vede una considerevole partecipazione di persone provenienti dai paesi vicini e non solo”.
Capite bene che una simile descrizione, anziché tentare di promuovere l’immagine di Biancavilla, la rende semplicemente ridicola. Qui non siamo a Piazza Armerina, a Taormina o ad Agrigento. Non ci sono (e mai ci saranno) comitive di turisti tedeschi in pantaloncini o di giapponesi armati di macchine fotografiche. Non a caso i nostri negozi non sono nemmeno forniti di souvenir.
Il sottoscritto è tra i fondatori di un’associazione culturale che si chiama “Biancavilla Documenti”, i cui componenti (un gruppetto sparuto di amici) hanno una passione viscerale per la storia e le tradizioni della nostra città ed hanno a cuore la salvaguardia e la valorizzazione dei suoi monumenti e delle sue opere (persino il basolato lavico delle strade).
Ma un conto è l’orgoglio di essere biancavillesi, di amare ed apprezzare i luoghi in cui si è nati e cresciuti (compresi quelli più banali), di battersi perché le testimonianze del passato vengano tutelate, di promuovere i personaggi che si sono distinti, di adoperarsi per diffondere le conoscenze storiche di una comunità. Un altro discorso, invece, è la razionalità e la logica degli atti amministrativi, che non possono trasformare la “Fontana Vecchia” nella Fontana di Trevi, Villa delle Favare in una “Reggia di Caserta”, la grotta di Sberno nelle Grotte di Frasassi. Straordinario Giuseppe Tamo, ma la Cappella di San Placido non è la “Sistina”.
L’opera di valorizzazione dei luoghi di Biancavilla deve cominciare dalla consapevolezza dei limiti di un paese, il nostro, che ha un patrimonio architettonico modesto, vasti quartieri che spesso sono un inno all’abusivismo e una storia di “appena” cinquecento anni. Invece di pensare ad ottenere etichette vuote, si deve partire per esempio dal recupero dell’esistente: le “chiese minori” cadono a pezzi, i mulini ad acqua sono circondati ed aggrediti da orribili costruzioni, la zona della Fontana Vecchia è nel degrado tra spazzatura e ruderi, non esiste il concetto di estetica nei documenti urbanistici del Comune…
Non si comprende, quindi, il senso di dichiarare Biancavilla “città d’arte”, tanto meno “centro a prevalente economia turistica”. Nemmeno se l’intento è “commerciale”, visto che non ci risulta sentita un’esigenza in tale ottica da parte degli stessi esercenti.
Venite pure in questa località alle falde dell’Etna, l’ospitalità dei suoi abitanti è garantita, ma non vi aspettate di vedere chissà cosa. E soprattutto non dimenticate di spedire una cartolina, magari all’indirizzo dell’assessore Pasquale Lavenia. Saluti da Biancavilla, ottava meraviglia del mondo.
Vittorio Fiorenza